"Le dita del piede", di Raymond Carver
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Quando vi dico che piccoli particolari devono diventare un fatto di svelamento, perché la letteratura apre e svela un universo – la letteratura è rivelazione! – io intendo quello che fa Raymond Carver con "Le dita del piede":
Questo piede non mi dà altro che guai. Il tallone, l'arco, la caviglia… v'assicuro che mi fa male quando cammino. Ma sono soprattutto queste dita che mi preoccupano. Queste "articolazioni terminali" come sono altrimenti note. Com'è vero! Per loro non c'è più il piacere di tuffarsi a capofitto in un bagno caldo o in un calzino di cashmere. Calzini di cashmere o niente calzini, pantofole, scarpe o cerotti Ace, ormai è tutto uguale per queste stupide dita. Hanno perfino un aspetto assente e depresso, come se qualcuno le avesse imbottite di torazina. Se ne stanno lì rannicchiate, mute e attonite… oggetti scialbi e senza vita. Ma che diavolo succede? Che razza di dita sono queste che non gliene frega più niente di niente? Ma sono ancora le mie dita? Si sono forse scordate i vecchi tempi, che cosa voleva dire esser vive allora? Sempre in prima fila, sempre le prime a scendere sulla pista da ballo appena attaccava la musica. Le prime a saltellare. E adesso, guardatele. Anzi, no. Non vorrete certo guardarle, 'ste lumache. È solo a prezzo di dolore e con difficoltà che riescono a rievocare i tempi d'una volta, i tempi d'oro. Forse, quel che vogliono in realtà è tagliare tutti i collegamenti con la vita di una volta, ricominciare, darsi alla clandestinità, vivere da sole in una casa di riposo principesca da qualche parte della valle di Yakima. Eppure c'era un tempo che si tendevano per il desiderio, che veramente bastava la minima provocazione per farle inarcare di piacere. Sfiorare con la mano una gonna di seta, per esempio. Una bella voce, un tocco sulla nuca, addirittura uno sguardo di sfuggita. Qualsiasi cosa! Il rumore di occhielli sganciati, di corsetti sbottonati, di vestiti lasciati cadere sul parquet freddo.
Io voglio portarvi a scrivere così!
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